Bollettino telematico di filosofia politica

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L'illegittimità della ristampa dei libri 99

Immanuel Kant

Traduzione dall'originale tedesco di Maria Chiara Pievatolo

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1785

Sommario

I. Deduzione del diritto dell'editore nei confronti del ristampatore
II. Confutazione del pretestuoso diritto del ristampatore nei confronti dell'editore
Annotazione generale

[079]Quelli che vedono l'edizione di un libro come l'impiego della proprietà riferita a una copia (Exemplar) (che può essere pervenuta al possessore o dallo scrittore, come manoscritto, o da un editore già presente, come stampa) e vogliono tuttavia restringerne l'uso tramite la riserva di certi diritti o dello scrittore, o dell'editore da lui investito, così che non si abbia licenza di ristamparla - non possono giungere allo scopo in questo modo. Infatti la proprietà dello scrittore sui suoi pensieri (se pure si conceda che essa abbia luogo secondo diritti esterni) rimane a lui indipendentemente dalla ristampa; 100 e poiché non può propriamente esserci una adesione esplicita dei compratori di un libro a una tale restrizione della loro proprietà, 101 come potrebbe una meramente presunta essere sufficiente a creare un'obbligazione?

Ma io credo di aver motivo di considerare l'edizione non come il commercio di una merce in proprio nome, bensì come la conduzione di un negozio in nome di un altro, cioè lo scrittore, e di poter così rappresentare facilmente e chiaramente l'illegittimità del ristampare. Il mio argomento è contenuto in un sillogismo, che prova il diritto dell'editore; gliene segue un secondo, che deve confutare la pretesa del ristampatore.

I. Deduzione del diritto dell'editore nei confronti del ristampatore

Chi conduce un negozio di un altro in nome suo, e tuttavia contro la sua volontà, è tenuto [080] a cedere a lui o al suo procuratore ogni utile che gliene risulti, e a compensare ogni danno che ne deriva al primo o al secondo.

Ebbene, il ristampatore è colui che conduce un negozio di un altro (l'autore) etc.; dunque è tenuto a cedere a questo o al suo procuratore (l'editore) etc.

Prova della premessa maggiore

Poiché chi conduce un negozio intromettendovisi agisce in nome di un altro senza averne licenza, non ha titolo all'utile che ne deriva; di contro, colui nel cui nome egli conduce il negozio, o un altro procuratore cui quello l'abbia affidato, possiede il diritto di appropriarsi di questo utile come frutto della sua proprietà. Inoltre, poiché questo negoziatore lede il diritto del possessore con la sua intromissione non autorizzata in affari estranei, egli deve necessariamente risarcire ogni danno. Questo si trova senza dubbio nei concetti elementari del diritto di natura.

Prova della premessa minore

Il primo punto della premessa minore è: l'editore conduce, tramite l'edizione, un negozio di un altro. Qui tutto dipende dal concetto di un libro o di uno scritto in generale, come lavoro dello scrittore, e dal concetto dell'editore in generale (sia o no autorizzato): se cioè il libro sia una merce, che l'autore può fare oggetto di traffico col pubblico, [im]mediatamente o tramite la mediazione di un altro e dunque trasferire con o senza la riserva di certi diritti, oppure se sia piuttosto un mero uso delle sue forze (opera), che certamente può accordare (concedere) ma mai trasferire (alienare); inoltre, se l'editore conduca un negozio suo in suo nome, o un negozio non suo in nome di un altro.

In un libro, in quanto scritto, l'autore parla al suo lettore; e chi lo ha stampato non parla, tramite la sua copia, per se stesso, ma totalmente in nome dello scrittore. Lo stampatore presenta l'autore in quanto parla pubblicamente (öffentlich) e media soltanto la consegna di questo discorso al pubblico. La copia di questo discorso, in manoscritto o a stampa, può appartenere a chiunque; dunque usarla per sé o farne commercio è un affare che ogni suo proprietario [081] può compiere a proprio nome e a sua discrezione. Soltanto far parlare qualcuno pubblicamente (öffentlich), portare il suo discorso come tale nel pubblico, significa parlare in suo nome e nello stesso tempo dire al pubblico: “Per mio tramite uno scrittore fa riportare letteralmente questo o quello, fa insegnare etc. Io non rispondo di nulla, nemmeno della libertà che si prende nel parlare in pubblico per mio tramite; io sono solo l'intermediario che permette di raggiungervi”; questo è senza dubbio un negozio che si può compiere solo in nome di un altro e mai in nome proprio (come editore). È vero che l'editore acquisisce a suo nome lo strumento muto della consegna di un discorso dell'autore al pubblico 102 ; ma portare nel pubblico tramite la stampa il discorso pensato e così mostrarsi come colui per il cui tramite l'autore gli parla, questo lo può fare solo in nome di un altro.

Il secondo punto della premessa minore è: il ristampatore intraprende il negozio (dell'autore) non solo senza la licenza del proprietario, ma anche contro la sua volontà. Infatti, poiché egli mette le mani nel negozio di un altro, che è autorizzato all'edizione dallo stesso autore, si chiede se l'autore possa conferire ancora a un altro la medesima autorizzazione e consentirvi. Ma è chiaro che, dal momento che ognuno dei due – il primo editore e chi in seguito si arroga l'edizione (il ristampatore) – condurrebbe il negozio dell'autore con un unico e medesimo pubblico nella sua interezza (ganz), l'elaborazione dell'uno dovrebbe rendere quella dell'altro inutile e dannosa per ciascuno di loro; quindi è impossibile un contratto dell'autore con un editore con la riserva di poter permettere ancora a qualcun altro all'infuori di lui, l'edizione della sua opera; di conseguenza, l'autore non può essere stato legittimato a emanare una licenza a nessun altro (come ristampatore), e pertanto non si può neppure presumere che questi abbia tale licenza dall'autore stesso [082]; di conseguenza, la ristampa è un negozio intrapreso interamente contro la volontà autorizzata del proprietario e nondimeno a suo nome.

Da questa ragione segue anche che non viene leso l'autore, ma il suo editore autorizzato. Infatti, perché l'autore ha ceduto interamente e senza riserva all'editore il suo diritto in merito all'amministrazione del suo negozio col pubblico, e anche quello di disporne altrimenti, questi soltanto è proprietario della sua conduzione, e il ristampatore danneggia, nel suo diritto, l'editore e non lo scrittore.

Ma poiché non si deve considerare di per sé inalienabile (ius personalissimum) questo diritto alla conduzione di un negozio, il quale può essere svolto con puntuale esattezza altrettanto bene anche da un altro – se non si è concluso nessun accordo particolare -, l'editore ha l'autorizzazione a cedere il suo diritto di edizione anche a un altro, perché egli è titolare della procura; e dal momento che lo scrittore è necessariamente d'accordo, chi intraprende il negozio di seconda mano non è un ristampatore, bensì un editore legittimamente autorizzato, cioè qualcuno cui l'editore investito dall'autore ha ceduto la sua procura.

II. Confutazione del pretestuoso diritto del ristampatore nei confronti dell'editore

Deve ancora aver risposta la domanda se, per la circostanza che l'editore aliena nel pubblico l'opera del suo autore, non scaturisca dalla proprietà della copia anche il consenso da parte dell'editore (e dunque anche dell'autore che gli diede la procura) a qualsiasi suo uso, e di conseguenza anche alla ristampa, per quanto spiacevole possa essergli. Infatti, forse l'editore è stato attirato dal vantaggio di intraprendere il suo negozio a questo rischio, senza precludervi l'acquirente con un contratto esplicito, perché avrebbe potuto annullare il suo affare.[083] Che la proprietà della copia non dia questo diritto, lo dimostro col seguente ragionamento:

Un diritto affermativo personale nei confronti di un altro non può mai essere fatto risultare esclusivamente della proprietà di una cosa
Ora, il diritto all'edizione è un diritto affermativo personale
Di conseguenza, non può mai essere fatto risultare esclusivamente dalla proprietà di una cosa (la copia).

Prova della premessa maggiore

Con la proprietà di una cosa è certamente connesso il diritto negativo di resistere a chiunque voglia ostacolarmi nell'uso a discrezione di essa, ma dalla mera proprietà di una cosa non può scaturire un diritto affermativo su una persona di pretendere da lei che mi debba fornire una qualche prestazione o essermi di servizio in qualcosa. È vero che si può accludere quest'ultimo al contratto tramite il quale acquisto una proprietà da qualcuno, con un accordo particolare, stabilendo per esempio che, quando compro una merce, il venditore la debba anche spedire in un certo luogo in franchigia. Ma allora il diritto che la persona faccia qualcosa per me, non segue dalla mera proprietà della mia cosa acquistata, bensì da un contratto particolare.

Prova della premessa minore

Qualcuno ha un diritto alla cosa di cui può disporre in proprio nome a sua discrezione. Ma un negozio che si può fare solo in nome di un altro è svolto in modo tale che l'altro viene obbligato per la circostanza che è come se questo negozio fosse condotto da lui stesso (quod quis facit per alium, ipse fecisse putandus est). 103 Dunque il mio diritto alla conduzione di un negozio in nome di un altro è un diritto affermativo personale, cioè un diritto di obbligare l'autore del negozio a prestare qualcosa, vale a dire a rispondere per tutto quello che fa compiere tramite me, o per ciò a cui, attraverso di me, si rende vincolato. Ora, l'edizione è un discorso al pubblico (tramite la stampa) in nome dello [084] scrittore, e di conseguenza un negozio in nome di un altro. Quindi il diritto all'edizione è un diritto dell'editore nei confronti di una persona, non semplicemente di difendersi contro di lui nell'uso discrezionale della sua proprietà, bensì di obbligarlo a riconoscere per suo proprio e a rispondere di un certo negozio, che l'editore conduce in nome suo – perciò, un diritto affermativo personale.

La copia, su cui l'editore esercita la stampa, è un'opera dell'autore (opus) e appartiene interamente all'editore dopo che questi ne ha trattato l'acquisto, in manoscritto o a stampa, per farne tutto quello che vuole e che può essere compiuto in proprio nome; questo, infatti, è un requisito del diritto perfetto su una cosa, cioè della proprietà. Ma l'uso, che egli non può fare se non soltanto in nome di un altro (cioè lo scrittore), è un negozio (opera) 104 che questo altro compie attraverso il proprietario della copia, per il quale oltre la proprietà si richiede in più un contratto speciale.

Ora, l'edizione di un libro è un negozio che può essere condotto solo in nome di un altro, cioè l'autore, che l'editore presenta come parlante al pubblico per suo tramite; dunque il relativo diritto non può appartenere ai diritti che sono annessi alla proprietà di una copia, ma può diventare legittimo solo in virtù di uno speciale contratto con lo scrittore. Chi pubblica senza un tale contratto con lo scrittore (o, se questi ha già concesso un simile diritto a un altro come autentico editore, senza contratto con quest'ultimo) è il ristampatore, il quale dunque lede l'editore autentico e deve risarcirgli ogni danno.

Annotazione generale

Che l'editore conduca il suo negozio di editore non meramente a suo proprio nome ma a nome di un altro 105 (cioè lo scrittore) [085] e che non lo possa fare senza la sua autorizzazione, è comprovato da certe obbligazioni, che, per riconoscimento generale, sono annesse all'editore. Se lo scrittore fosse morto dopo che ha consegnato il suo manoscritto all'editore per la stampa e questi vi si è reso obbligato, quest'ultimo non è libero di trattenere il manoscritto come sua proprietà, ma il pubblico ha, in mancanza di eredi, il diritto di costringerlo all'edizione o a cedere il manoscritto a un altro che offra di pubblicarlo. Prima, infatti, era un negozio che l'autore voleva svolgere con il pubblico per suo tramite, per il quale egli si offriva come conduttore di negozi. Il pubblico non era neppure in bisogno di conoscere questa promessa dello scrittore, né di accettarla; ottiene questo diritto sull'editore (di fornire qualcosa) esclusivamente per legge. Perché l'editore possiede il manoscritto solo alla condizione di usarlo per un negozio dell'autore con il pubblico; questa obbligazione nei confronti del pubblico rimane, anche se quella nei confronti dell'autore è cessata con la sua morte. Qui non viene posto a fondamento un diritto del pubblico al manoscritto, bensì al negozio con l'autore. Se l'editore, dopo la sua morte, facesse uscire l'opera dell'autore mutilata o falsificata, o facesse mancare copie in numero occorrente alla domanda, allora il pubblico avrebbe la facoltà di costringerlo a una maggiore correttezza o a un aumento della tiratura, e altrimenti di procurarsela altrove. Tutto questo non potrebbe aver luogo se il diritto dell'editore non fosse derivato da un negozio che egli conduce fra il pubblico e l'autore, in nome di quest'ultimo.

A questa obbligazione dell'editore, che presumibilmente sarà concessa, deve però corrispondere anche un diritto fondato su di essa, e cioè il diritto a tutto ciò senza cui quella obbligazione non potrebbe essere adempiuta. Questo diritto è: che egli eserciti il diritto di edizione in modo esclusivo, perché la concorrenza di altri al suo negozio gliene renderebbe la conduzione praticamente impossibile.

Di contro, le opere d'arte, come cose, possono essere copiate, sulla base di un loro esemplare che si è legittimamente acquistato, e riprodotte, e le loro copie possono essere fatte pubblicamente oggetto di traffico senza il consenso dell'artefice del loro originale, o di coloro di cui si è servito come tecnici per le sue idee. Un disegno che qualcuno ha tracciato, o ha fatto incidere da un altro nel rame, o realizzare in [086] pietra, metallo o gesso, può essere impresso o colato da chi compra questi prodotti, e così essere reso pubblicamente oggetto di traffico; così come non ha bisogno dell'assenso di un altro tutto quello che qualcuno può fare con una cosa sua, a suo proprio nome. La Dattilioteca di Lippert 106 può essere copiata ed esposta alla vendita da ogni possessore che la capisca, senza che il suo inventore possa lamentare intrusioni nei suoi affari. Infatti è un'opera (opus, non opera alterius) 107 che ciascun suo possessore può alienare, senza mai menzionare il nome dell'artefice, e quindi anche copiare e usare a suo nome come propria in un pubblico traffico. Ma lo scritto di un altro è il discorso di una persona (opera) e chi la pubblica può parlare al pubblico solo in nome di questo altro e di sé non può aggiungere nulla se non che lo scrittore per suo tramite (Impensis Bibliopolae) 108 tiene al pubblico il seguente discorso. Infatti è una contraddizione fare in proprio nome un discorso che pure, per proprio annuncio e in conformità alla richiesta del pubblico, deve essere il discorso di un altro. Dunque, la ragione per la quale tutte le opere d'arte altrui possono essere copiate per il pubblico traffico, ma i libri che hanno già i loro editori autorizzati non possono essere ristampati consiste in questo: le prime sono opere (opera), i secondi azioni (operae); quelle sono come cose esistenti di per se stesse, mentre questi possono avere il loro esserci solo in una persona. Di conseguenza, questi ultimi spettano esclusivamente alla persona dello scrittore 109 e questi ha un diritto inalienabile (ius personalissimum) di parlare sempre egli stesso attraverso quell'altro: nessuno, cioè, può tenere il medesimo discorso al pubblico altrimenti che in suo (dell'autore) nome. Se però si modifica il libro di un altro (abbreviandolo, ampliandolo o rielaborandolo) tanto che si commetterebbe anche ingiustizia, se lo si facesse poi uscire in nome [087] dell'autore dell'originale, allora la rielaborazione fatta a proprio nome dal curatore non è una ristampa e non è proibita. Infatti in questo caso un altro autore compie, rispetto al primo, un negozio tramite il suo editore e non si intromette nel suo negozio col pubblico; l'editore non presenta quell'autore come parlante attraverso di lui, bensì un altro. Neanche la traduzione in un'altra lingua può essere ritenuta una ristampa, perché non è il medesimo discorso dello scrittore, sebbene i pensieri possano essere gli stessi.

Se l'idea di una edizione di libri in generale qui posta a fondamento fosse ben compresa ed elaborata con l'eleganza richiesta dalla giurisprudenza romana (come mi lusingo sia possibile), la querela contro il ristampatore potrebbe ben essere portata davanti ai tribunali senza la necessità di sollecitare preliminarmente una nuova legge a questo scopo.



[99] «Von der Unrechtmäßigkeit des Büchernachdrucks», Berlinische Monatsschrift 05 (Mai), 1785, pp. 403-417. I riferimenti numerici fra parentesi nel testo riguardano il volume VIII dell'Akademie-Ausgabe (https://korpora.org/Kant/aa08/.

[100] Si è scelto di tradurre la parola tedesca Nachdruck come "ristampa" perché nella Germania del XVIII secolo la questione della legittimità della riproduzione a stampa di un libro senza autorizzazione era molto controversa. Rendere, tendenziosamente, il termine con "edizione pirata" sarebbe come dare per risolta una questione che non lo era affatto. Si veda sul tema la mia recensione a R. Pozzo (a cura di), I. Kant, J.G. Fichte, J.A.H. Reimarus, L'autore e i suoi diritti. Scritti polemici sulla proprietà intellettuale, Milano, Biblioteca di via Senato, 2005, in Recensioni filosofiche, 5, 2006 https://www.recensionifilosofiche.it/crono/2006-03/pozzo.htm. [N.d.T.]

[101] Un editore oserebbe mai vincolare ognuno, all'acquisto dell'opera da lui edita, alla condizione di essere messo in stato d'accusa, se la copia comprata fosse ristampata di proposito o anche per una sua disattenzione, per l'appropriazione indebita di un bene altrui affidato a lui? Sarebbe difficile che qualcuno vi acconsentisse, perché, in questo modo, si esporrebbe a tutti i disagi dell'indagine e della responsabilità. L'edizione, quindi, gli resterebbe in gola.

[102] Un libro è lo strumento della consegna al pubblico di un discorso, e non semplicemente dei pensieri, come le immagini, rappresentazione simbolica di una qualche idea o evento. Qui l'aspetto più essenziale sta nella circostanza che non è una cosa a venire così consegnata, bensì un'opera, cioè un discorso, e certamente alla lettera. Chiamandolo muto strumento, lo distinguo da ciò che consegna il discorso attraverso un suono, come a esempio un megafono, o anche la stessa bocca altrui.

[103] "Ciò che qualcuno fa tramite altri, va considerato come fatto da lui stesso". [N.d.T.]

[104] Qui il sostantivo latino neutro opus (operis) designa l'oggetto prodotto, mentre il sostantivo femminile opera (operae) indica l'azione. [N.d.T.]

[105] Se l'editore è contemporaneamente anche scrittore, i due negozi sono tuttavia distinti; ed egli pubblica in qualità di commerciante ciò che ha scritto in qualità di studioso. Ma possiamo mettere da parte questo caso e limitare la nostra discussione solo a quello in cui l'editore non è nello stesso tempo scrittore; sarà poi facile estendere la deduzione anche al primo caso.

[106] Una dattilioteca è una collezione di anelli o di gemme anulari. La Dattilioteca di Lippert (Leipzig, 1767) era un'opera a stampa che conteneva le riproduzioni di un gran numero di pietre incise.

[107] "Un prodotto e non un'azione di altri". [N.d.T.]

[108] "A spese del libraio". [N.d.T.]

[109] L'autore e il proprietario della copia possono dire entrambi della medesima cosa, con uguale diritto, “è il mio libro”, ma in senso diverso. Il primo prende il libro come scritto o discorso; il secondo semplicemente come il muto strumento della consegna del discorso a lui o al pubblico, cioè come copia. Ma questo diritto dello scrittore non è un diritto sulla cosa, cioè sulla copia (infatti il proprietario può bruciarla davanti agli occhi dello scrittore), bensì un diritto innato nella sua propria persona, cioè il diritto di impedire che un altro lo faccia pronunciare al pubblico senza il suo assenso – il quale assenso non può essere presunto, perché lo ha già concesso in via esclusiva a un altro.


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