Bollettino telematico di filosofia politica

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Immanuel Kant: sette scritti politici liberi

Maria Chiara Pievatolo

Una versione in volume di questo ipertesto è in stampa presso Firenze University Press.

Edizione Elettronica (HTML) ISBN: 978-88-6655-002-0

Questo documento, nel suo complesso, è soggetto a una licenza Creative Commons.

21-06-2011


Sommario

Introduzione
Liberare Kant
Dal privilegio intellettuale alla censura
Kant e l'ecologia dell'informazione
Oltre il giardino: un argomento kantiano per la responsabilità degli autori
Nota generale alla traduzione
Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico
Prima tesi
Seconda tesi
Terza tesi
Quarta tesi
Quinta tesi
Sesta tesi
Settima tesi
Ottava tesi
Nona tesi
Annotazione della curatrice
Kant e la filosofia della storia
Potenza e atto
L'insocievole socievolezza
Il problema del diritto
Il chiliasmo della filosofia
Rischiaramenti
Rivoluzioni
Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?
Annotazione della curatrice
Una scelta di vita (035)
La vocazione di ogni essere umano a pensare da sé (036)
Uso pubblico e privato della ragione (037)
L'obiezione di coscienza: una questione soltanto religiosa? (038)
Dalla religione alla politica (039-040)
Il secolo di Federico (040-041)
Dalla cultura alla politica (041-042)
Questa traduzione
L'illegittimità della ristampa dei libri
I. Deduzione del diritto dell'editore nei confronti del ristampatore
II. Confutazione del pretestuoso diritto del ristampatore nei confronti dell'editore
Annotazione generale
Annotazione della curatrice
Il dibattito sulla ristampa
Un conservatore illuminato
Le opere d'arte
Diritti reali e diritti personali
I diritti degli "scrilettori"
I diritti del pubblico
Il problema dell'esclusiva
Appendice: traduzione e commento di Metafisica dei costumi, Dottrina del diritto § 31, II: Che cos'è un libro?
Sul detto comune: «questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica»
I. La relazione della teoria con la pratica nella morale in generale (in risposta ad alcune obiezioni del professor Garve)
II. La relazione della teoria con la pratica nel diritto dello stato (contro Hobbes)
III. La relazione della teoria con la pratica nel diritto internazionale. Considerata con un intento universalmente filantropico, cioè cosmopolitico (contro Moses Mendelssohn)
Annotazione della curatrice
Teoria e pratica: la delimitazione del problema
Kant contro Garve: perché essere morali?
Kant contro Hobbes: lo stato secondo ragione
Kant contro Mendelssohn: che cosa possiamo sperare?
Per la pace perpetua
Alla pace perpetua
Prima sezione, che contiene gli articoli preliminari per la pace perpetua fra gli stati
Seconda sezione, che contiene gli articoli definitivi della pace perpetua tra stati
Primo supplemento
Secondo supplemento
Appendice
Annotazione della curatrice
Alla pace perpetua
Gli articoli preliminari
La partizione sistematica del diritto pubblico
Il primo articolo definitivo: la costituzione repubblicana
Il secondo articolo definitivo: il federalismo
Il terzo articolo definitivo: verso una costituzione cosmopolitica
La garanzia della pace perpetua
Il secondo supplemento: l'articolo segreto per la pace perpetua
La sapienza e la prudenza
La forma della pubblicità
Appendice: il §61 della Metafisica dei costumi (1797)
Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani
Annotazione della curatrice
Una polemica politica
La veridicità come dovere incondizionato
La responsabilità del mentitore
Dal privato al pubblico
Il conflitto delle facoltà. In tre parti
1. Che cosa si vuol qui sapere?
2. Come lo si può sapere?
3. Suddivisione del concetto di ciò che si vuole conoscere in anticipo sul futuro
4. Il problema del progresso non può essere risolto immediatamente attraverso l'esperienza
5. La storia pronosticante del genere umano deve tuttavia essere collegata a una qualche esperienza
6. Di un evento del nostro tempo che prova questa tendenza morale del genere umano
7. Storia pronosticante dell'umanità
8. Sulla difficoltà delle massime che mirano al progresso del mondo verso il meglio riguardo alla loro pubblicità
9. Quale profitto frutterà al genere umano il progresso verso il meglio?
10. Qual è il solo ordine in cui ci si può aspettare il progresso verso il meglio?
Conclusione
Annotazione della curatrice
La filosofia della storia
La filosofia della storia come pratica
Tre immagini del futuro
L'occhio di Dio
L'entusiasmo
Trasparenza
Che cosa possiamo sperare
A. Bibliografia
Fonti kantiane ad accesso aperto

Introduzione

Liberare Kant

«Quando il mondo della creatività avrà compiuto la sua secessione, l'industria dell'appropriazione che limita i diritti d'uso [...] deperirà lentamente nel campo cinto di filo spinato che finge di coltivare. Ne è così consapevole che è pronta a tutto per impedirlo. Noi dobbiamo proteggere l'ecosistema dell'informazione da questi attacchi, ma ciò non ci esime dal riflettere sui vincoli al suo sviluppo e al suo divenire. E se ce ne daranno l'occasione, potrà essere utile aiutare questa industria a reinventarsi in forme meno distruttive.» 1 Queste parole di Philippe Aigrain, nel suo libro dedicato al conflitto fra la condivisione libera e il monopolio proprietario dei beni informativi, possono essere lette e riprodotte in virtù di una scelta coerente e consapevole del suo autore, che ha sottoposto il testo a una licenza Creative Commons. La domanda di Aigrain - fino a che punto la cosiddetta "proprietà intellettuale", un monopolio che rende artificiosamente costoso qualcosa che sta diventando riproducibile sempre più facilmente, danneggia la creatività e la cultura? - è ormai molto comune, 2 anche se buona parte degli autori accademici italiani, almeno nel settore delle scienze umane, sembra continuare a ignorarla.

Per affrontare una simile questione, prima nella prospettiva ristretta e pragmatica del regime di questa traduzione e poi in un orizzonte teorico più ampio e - spero di dimostrare - kantiano, occorre innanzitutto rettificare il linguaggio. L'espressione "proprietà intellettuale" è tanto fuorviante quanto propagandistica: chi riproduce un testo senza autorizzazione non sottrae nessun oggetto, materiale o immateriale, dalla disponibilità di qualcun altro: viola, semplicemente, un monopolio temporaneo riconosciutogli dal diritto positivo, ossia, propriamente, un "privilegio intellettuale". 3 Il privilegio intellettuale, messo a repentaglio dalla pratica quotidiana di chi usa la rete, è stato indirizzato creativamente da precursori come Richard Stallman per la libertà della copia e della ricerca, 4 discusso da giuristi come Lawrence Lessig, allo scopo di ridurlo entro i limiti della sua giustificazione, a tutelare non tanto gli interessi monopolistici delle aziende, quanto il lavoro e la creatività individuali, 5 e criticato da economisti come Michele Boldrin e D.K. Levine 6 i quali si chiedono in che misura esso rallenti l'innovazione in luogo di promuoverla, favorendo un illiberale perseguimento di rendite da monopolio. 7 Il movimento per la pubblicazione ad accesso aperto 8 ha ottenuto l'appoggio, con la dichiarazione di Berlino del 2003, di numerosi importanti enti di ricerca e poco dopo della quasi totalità dei rettori delle università italiane. 9 Francesca Di Donato, nella conclusione del suo libro dedicato all'uso pubblico della ragione nell'età del web, 10 descrive una pratica di ricerca in rete letta da alcuni come utopica, ma che è semplicemente la quotidianità del suo e del mio lavoro. Uscire dal recinto di filo spinato dei monopoli intellettuali è possibile. E ci sono ottime ragioni per liberare i classici, non solo nei loro originali - di solito già nel pubblico dominio - ma anche e soprattutto nelle loro traduzioni.

Per quanto questo volume nel suo complesso sia soggetto a una licenza Creative Commons più restrittiva, le singole traduzioni possono essere liberamente riprodotte e modificate. Nel mio caso, l'argomento per il quale soltanto la speranza di guadagnare una modestissima percentuale del prezzo del libro e di offrire una rendita, fino a settant'anni dopo la mia morte, a sconosciuti pronipoti mi avrebbe indotto a impegnarmi in questo lavoro è così ridicolmente falso che non merita di essere confutato. Altrettanto astratta e remota è la prospettiva che questo lavoro possa avere un qualche significato per la mia carriera accademica.

Ma perfino in questa situazione ci sono molti buoni motivi per liberare Kant. Io sono stipendiata da un'università statale e l'edizione di questo testo è stata finanziata con fondi di ricerca altrettanto statali: la mia traduzione, in altre parole, esiste grazie a denaro pubblico. Che senso ha privatizzare col privilegio intellettuale qualcosa che è nato pubblico, perché il contribuente lo ha pagato con le sue imposte? 11 Come possiamo chiedere il sostegno economico del pubblico se l'esito più immediato del nostro lavoro non può essere fruito da tutti?

Nel caso delle traduzioni dei classici, il privilegio intellettuale impoverisce il pubblico dominio, lasciandovi solo testi dal linguaggio desueto, e rende la ricerca inefficiente e ridondante. Se mi imbatto in una traduzione sotto copyright che contiene qualche inesattezza o qualche svista, non posso semplicemente emendarla, ma devo produrne una nuova versione, per evitare il rischio di incorrere nel reato di plagio-contraffazione. Il monopolio, in altre parole, mi costringe a reinventare la ruota, mettendomi in un'inutile concorrenza con gli altri traduttori. Se in generale fosse lecito - come è in particolare reso possibile dalla licenza che ho scelto per la mia versione - modificare una traduzione altrui per migliorarla o per aggiornarla, gli umanisti potrebbero ripetere con profitto l'esperienza del software libero, collaborando per uno sforzo comune e cumulativo, anziché ricominciare ogni volta da capo.

Qualcuno, pensando al proprio lavoro come qualcosa su cui infiniti altri metteranno le mani e non come un unicum che reca il marchio del proprio caro io, potrebbe provare l'angoscia descritta da Max Weber nella sua conferenza sulla scienza come professione:

…ognuno di noi sa che, nella scienza, il proprio lavoro dopo dieci, venti, cinquanta anni è invecchiato. È questo il destino, o meglio, è questo il significato del lavoro scientifico, il quale, rispetto a tutti gli altri elementi della cultura di cui si può dire la stessa cosa, è a esso assoggettato e affidato in senso assolutamente specifico: ogni lavoro scientifico "compiuto" comporta nuovi “problemi” e vuol invecchiare ed esser "superato". A ciò deve rassegnarsi chiunque voglia servire la scienza. 12

Più di due millenni prima, il Socrate del Gorgia affrontava la prospettiva del proprio superamento con serenità:

io sono uno di quelli che si fanno confutare con piacere, se non dice la verità, ma che con piacere confutano se qualcun altro non dice il vero, e anzi mi lascio confutare con un piacere non minore di quello che provo confutando. Infatti ritengo che essere confutato sia un bene maggiore, tanto maggiore quanto lo è essere liberati dal male piuttosto che liberarne altri. Perché io penso che per l'essere umano non ci sia un male paragonabile a un'opinione falsa su ciò di cui ora verte il discorso 13

L’elenchos o confutazione è, per chi la subisce, un'esperienza umiliante. E negli ambienti in cui l'interesse del potere si mescola con quello della ricerca non è percepito come uno strumento per l'avanzamento del sapere, bensì come un attacco personale. Per questo motivo, il Socrate del Gorgia, nel confronto col suo interlocutore, ha cura di separare l'oggetto dal metodo della discussione: da scienziato a scienziato, è possibile disconoscere il valore dell’elenchos, riducendolo a un'arma impropria nella lotta per la reputazione? Gorgia, davanti al pubblico, si trova costretto a rispondere di no. Un venditore di sapere il quale dichiarasse pubblicamente che della ricerca della verità non gli importa nulla, e che considera chi lo critica un nemico da mettere a tacere, anche quando - o sopratutto quando - ha ragione, perderebbe la propria credibilità. Perché un cliente dovrebbe aver interesse a pagarlo? Perché un contribuente dovrebbe finanziarlo?

La posizione socratica sarebbe quella più naturale se il mondo della ricerca non si organizzasse competitivamente, bensì collaborativamente. In una scala ciascun gradino è fatto per essere superato, ma tutti insieme conducono in alto. Una traduzione che rotola per le mani di tutti, venendo corretta e alterata nel tempo, ha la speranza di sopravvivere rimanendo utile anche quando il traduttore sarà diventato polvere.

Socrate poteva permettersi di elogiare la confutazione perché era padrone delle sue conversazioni e viveva in una città che, pur giustiziandolo per un reato d'opinione, lo prendeva sul serio nella vita e nella morte. Di contro, il ricercatore odierno, non possedendo gli strumenti del proprio lavoro, non ha neppure quelli della propria stima di sé: perfino i suoi articoli, per essere valutati, devono entrare in un circuito di oligopoli commerciali 14 al di fuori del suo controllo. Weber lo paragona esplicitamente al proletario di Marx. 15 al lavoratore separato dai mezzi di produzione e condannato all'alienazione, cioè a ignorare il senso di ciò che fa, determinato e speso in un mondo che non gli appartiene. Condannato a essere individuo, a preoccuparsi soltanto della sua carriera e della sua reputazione, perché non sa più superare se stesso in una comunità di conoscenza progressiva.

In questo momento, avremmo in mano le tecnologie della parola per ricostruire questa comunità, offrendo il nostro lavoro alla modifica e alla cooperazione - cioè socializzando i nostri mezzi di produzione -, se siamo finanziati dal pubblico, o promuovendo forme di remunerazione della creatività che non impongano a chi ci legge il privilegio intellettuale. 16 Cedere i propri diritti a un editore che ci priva della proprietà della nostra biblioteca, cioè, weberianamente, dei nostri mezzi di produzione, ci avvicina al proletariato. Ma svilire la dignità del proprio lavoro al punto di credere che il suo valore non dipenda dall'essere usato, condiviso e discusso, bensì dall'essere privatizzato da un qualche editore di prestigio ci fa scendere fra la plebe.

Dal privilegio intellettuale alla censura

Nel 2004, un articolo di Sarah Glazer uscito sul New York Times 17 denunciò al grande pubblico uno scandalo scientifico direttamente imputabile al privilegio intellettuale sulle traduzioni: il lettore di lingua inglese poteva ricevere un'opera fondamentale per la storia del pensiero femminista, Le Deuxième Sexe di Simone De Beauvoir, soltanto imprigionata nella versione del 1953, decurtata e filosoficamente infedele, 18 prodotta da uno zoologo, Howard M. Parshley, per i tipi di un editore, Knopf, che ne aveva acquisito l'esclusiva ritenendolo «a modern day sex manual». L'editore americano - riferiva l'articolo - era rimasto sordo a tutti i tentativi di convincerlo a permettere una nuova traduzione. Un simile comportamento, per quanto possa apparire scientificamente scandaloso, è tuttavia economicamente razionale: perché spendere per una nuova traduzione quando si gode di un redditizio monopolio che permette di lucrare sulla versione esistente fino al 2056?

I sostenitori del privilegio intellettuale potrebbero trovare consolatorio apprendere che nel 2006, forse anche grazie all'articolo del New York Times, Cape, detentore dei diritti britannici e facente capo, come Knopf, alla Random House Corporation, decise di commissionare una nuova traduzione. 19 La nuova versione, uscita alla fine del 2009, è stata finanziata per un terzo del suo costo dal denaro pubblico offerto dallo stato francese. Questo, però, non ha posto fine alle polemiche: Toril Moi, la studiosa che aveva analizzato più a fondo i difetti della traduzione Parshley, ha individuato anche nella versione di Constance Borde e Sheila Malovany-Chevalier vari limiti linguistici e stilistici. Ne è seguita una lunga controversia, nella quale Moi è stata accusata perfino di risentimenti personali, perché l'incarico della traduzione è stato dato ad altri piuttosto che a lei. 20 Una simile polemica merita l'aggettivo di "plebea", non tanto per la volgarità delle accuse, quanto per la situazione che le ha originate: se la dignità del nostro lavoro - anzi, la possibilità stessa di compierlo - dipende dalla benevolenza di un privilegiato, è ben comprensibile che gli autori si azzuffino come pezzenti che si contendono l'elemosina. Se il privilegio intellettuale non ci fosse o avesse una durata minore, Toril Moi potrebbe produrre una traduzione sua propria, o correggerne una esistente, senza chiedere il permesso a nessuno, lasciando al pubblico dei lettori - con l'aiuto del dibattito scientifico - la scelta della versione che preferisce.

Un caso meno recente, ma assai più scandaloso, di censura economica che si trasforma in censura politica, riguarda la traduzione inglese di Mein Kampf. Alan Cranston, corrispondente dell'International News Service nei due anni precedenti alla seconda guerra mondiale, si rese conto che la versione inglese autorizzata, i cui diritti erano detenuti da Houghton Mifflin, era stata espurgata di varie parti significative e in particolare delle sezioni che illustravano il progetto hitleriano di dominio del mondo. 21 Per rendere noti al lettore americano gli effettivi piani di Hitler, Cranston produsse una nuova traduzione commentata e annotata che, pur ridotta da 270.000 a 70.000 parole, conteneva quanto bastava per avere una rappresentazione precisa dell'ideologia nazista. Informare, alla vigilia della seconda guerra mondiale, l'opinione pubblica della più grande democrazia del mondo di allora su quanto covava al di là dell'oceano è un esercizio nobile della libertà di stampa e di parola. Anch'esso, però, dovette cedere al privilegio intellettuale: Houghton Mifflin, l'editore autorizzato da Hitler, intentò una causa per violazione del copyright. Nel luglio del 1939 un tribunale statunitense gli diede ragione, mandando al macero cinquecentomila copie già stampate. Poco meno di due mesi dopo, le truppe tedesche invasero la Polonia, attuando il piano che Cranston aveva tentato di far conoscere ai suoi concittadini.

L'uso censorio del copyright ha il sapore di un ritorno alle origini, quando i precursori dell'istituto servivano per imporre l'identificazione dell'autore per poterlo più facilmente punire come eretico o come sovversivo. 22 In questo momento però, al tramonto dell'età della stampa. Kant potrebbe aiutare a pensare la libertà della parola e della scienza in una maniera un po' meno plebea.

Kant e l'ecologia dell'informazione

Solo un pubblico colto [gelehrtes Publicum] che dal suo inizio sia durato ininterrottamente fino a noi può autenticare la storia antica. Al di là di quello è tutto terra incognita; e la storia dei popoli che ne vivono al di fuori si può cominciare soltanto dall'epoca in cui vi entrarono. Questo avvenne col popolo ebraico al tempo dei Tolomei tramite la traduzione greca della Bibbia, senza la quale si potrebbe attribuire poca fede alle sue comunicazioni isolate. Da allora (se questo inizio è stato appropriatamente individuato) in poi si possono seguire i suoi racconti. La prima pagina di Tucidide (dice Hume) è l'unico inizio di ogni vera storia. 23

La storia, scriveva Kant nel 1784, non è una collezione di eventi che si fa da sé, ma la consapevolezza che, collettivamente, ne abbiamo. Per questo è identica alla continuità di un pubblico colto, che conserva e tramanda il passato, attraverso il presente, per l'avvenire.

Tucidide, quando descriveva la sua opera come uno ktema eis aiei (I.22.4) - un possesso per sempre -, era convinto che il suo testo, divenuto patrimonio collettivo, non sarebbe scomparso con lui. La scrittura antica era il regno della copia libera e incontrollabile, dei testi che - come scrive Platone nel Fedro (275d-e) - rotolavano per le mani di tutti: «v'è una ragione importante per cui è corretto dire che tutti gli scritti dell'antichità erano una sorta di samizdat: non perché fossero sempre, o anche abitualmente, illeciti, ma perché la loro circolazione era limitata a copie preparate manualmente e passate manualmente da persona a persona.[...] Il samizdat riduce la capacità dello stato di prevenire la diffusione di materiale suscettibile di contestazione». 24 Se non fosse per la difficoltà connessa alla copiatura manuale e al reperimento materiale dei testi, il mondo delle scritture antiche potrebbe essere paragonato alle “sabbie mobili” della rete, come le descriveva l'hacker Fravia: «una volta pubblicato qualcosa sul web, se ha un qualche contenuto originale, o è di un qualche interesse, esso ‘cresce e si moltiplica’». 25 In virtù di una simile libertà, Tucidide poteva permettersi di dare per scontato che un testo, una volta messo per iscritto e condiviso, avesse la potenzialità di essere e di fare la storia, entro la continuità di un pubblico colto, cioè, materialmente, attraverso le mani pazienti di generazioni e generazioni di copisti.

Immaterialmente, la continuità del pubblico colto è affidata alla libertà dell'uso pubblico della ragione, compiuto da chiunque, nella veste di studioso, si rivolga all'intero pubblico dei lettori. 26 Per parlare da studiosi, ci si deve pensare come parte della società dei cittadini del mondo o cosmopolitica. Per pretendere di essere ascoltati al di là delle nostre organizzazioni particolari, si deve assumere un punto di vista in grado di trascenderle. È libero chi, compiuto questo superamento, riesce a parlare a tutti: se esiste un ambito nel quale possiamo dire quello che pensiamo e non quello che ci è imposto da funzioni o bisogni particolari, ogni nostra parola aiuterà ogni altro a fare altrettanto.

In questa prospettiva, la storia autenticata dalla continuità di un pubblico colto non può essere quella fatta dai vincitori, per il consumo di gruppi particolari, ma solo quella che potrebbe nascere idealmente da un uso pubblico della ragione universalmente libero, cioè da una conversazione universalmente accessibile. 27 Chi nega questa accessibilità, con la censura politica ed economica, limita la nostra autocoscienza collettiva e rende la nostra cultura in radice discriminatoria.

Allo stato della tecnologia settecentesca, la stampa era il medium che offriva l'accessibilità più ampia. Nel saggio sull'Illuminismo, però, il «libro che ha intelletto per me» (035) è elencato fra le espressioni di un sapere istituzionale e istituzionalizzato che favorisce la pigrizia e la viltà di chi non ha voglia di pensare da sé. Il sistema editoriale produce una mediazione, negando la parola ad alcuni e dandola ad altri, e avendo la forza tecnica ed economica di raccogliere un pubblico che sopravanza infinitamente quello che potrebbe essere radunato dalla sola voce degli autori. Mentre Tucidide, nelle sabbie mobili del samizdat antico, poteva parlare direttamente a tutti, confidando che la sua opera, liberamente letta e copiata, avesse bisogno solo delle menti e delle mani dei suoi lettori per diventare un possesso per sempre, Kant deve passare attraverso un sistema di comunicazione controllabile dallo stato e da privati tecnologicamente ed economicamente più potenti di lui. La libertà dell'uso pubblico della ragione rischia di ridursi, da libertà di chiunque sappia pensare da sé, a privilegio di pochissimi padroni del discorso.

In una prospettiva kantiana, questo rischio è delicato e importante, soprattutto se la libertà dell'uso pubblico della ragione diviene, da libertà culturale, anche strumento di controllo del potere politico. Nel 1793, Kant chiama questa libertà «libertà della penna», 28 e non libertà della stampa, a significare che essa insiste sugli scrittori e non sugli editori. Il suo saggio sulla ristampa 29 giustifica i diritti degli editori solo se e quando, in luogo di imporre barriere monopolistiche alla circolazione delle idee, aiutano gli autori a raggiungere il pubblico. La loro libertà, che si esercita su mandato, è meramente economica. La libertà della penna, di contro, concerne direttamente l'uso pubblico della ragione. Kant non giustappone il potere dei monopoli editoriali al monopolio della forza legittima: pensa, piuttosto, a una sfera pubblica a cui chiunque ha pari facoltà di partecipare, senza censure politiche o economiche. Una sfera pubblica nella quale sia effettivo quello spirito di libertà che, trascendendo la coercizione, dà sostanza alle ragioni del diritto.

Il diritto d'autore di Kant non è costruito sul discutibile concetto di proprietà intellettuale, bensì su qualcosa di molto più simile al nostro diritto alla privacy: chi scrive fa un discorso al pubblico, del quale l'editore si fa soltanto mediatore. Chi si fa tramite di un nostro discorso senza la nostra autorizzazione commette un abuso non perché ci "ruba" qualcosa. ma perché ci mette in un rapporto col pubblico che non abbiamo scelto di avere. L'abuso, in questa prospettiva, non sta nella riproduzione di un testo, ma nella sua distribuzione al pubblico senza il nostro permesso. 30

Il presupposto della rilevanza degli abusi della mediazione culturale è una tecnologia - come la stampa - che li rende facili e frequenti, in quanto il potere di diffusione di chi la domina è di gran lunga superiore a quello di chi ne è utente in veste di lettore o di scrittore. Kant, fra gli abusi, non considera solo quello, ovvio, dell'edizione pirata, cioè della ristampa non autorizzata, ma anche quello, assai più insidioso, della censura e della manipolazione editoriale, riconoscendo al pubblico specifici diritti qualora l'editore usi i suoi privilegi per ostacolare la diffusione del discorso di un autore.

Dove la produzione e l'elaborazione dei testi non tocca l'attività di mediazione, l'ambiente kantiano riconosce la più ampia libertà. I pensieri sono indefinitamente condivisibili e quindi la copia non può sottrarli a chi li ha concepiti. Le elaborazioni creative, come le traduzioni e i compendi, sono da considerarsi discorsi di chi le ha composte. 31 In un regime kantiano, Alan Cranston avrebbe potuto tradurre Hitler senza chiedergli il permesso e Toril Moi potrebbe fare la sua versione del Secondo sesso senza dipendere dall'arbitrio di chi ne detiene il privilegio intellettuale, a vantaggio della crescita culturale e della consapevolezza politica di quanti sono condannati a parlare e leggere una lingua sola. La licenza Creative Commons che protegge la mia traduzione è studiata per mimare il regime kantiano: se qualcuno ha da ridire sulla mia versione non deve fare altro che ringraziarmi per il mio lavoro, modificarla come crede e ridistribuirla al pubblico con gli stessi diritti con cui l'ha ricevuta, sempre che io stessa non trovi le sue critiche talmente appropriate da applicarle direttamente alla mia opera, con tutta la mia gratitudine. In questo modo il tempo che gli umanisti dedicano a reinventare la ruota e a polemizzarci sopra potrà essere usato più proficuamente altrove.

Per quanto la rete oggi offra agli autori infinite possibilità di autopubblicazione e autoarchiviazione, la limitatezza dell'attenzione umana ripropone, in modi diversi, il problema della mediazione. I motori di ricerca, che indicizzano materiale pubblicato altrove, possono essere trattati alla stregua di testimoni, 32 ma le piattaforme private delle reti sociali, in quanto si riservano la facoltà di cancellare link, immagini e interi gruppi di discussione, hanno una posizione paragonabile a quella degli editori kantiani e vanno trattate con la medesima cautela, essendo provviste degli strumenti tecnologici e giuridici per esercitare forme di censura economica e politica, 33 e per frammentare l'unità - e quindi la storia - della conversazione di un pubblico colto in isole racchiuse entro barriere architettoniche e informative. 34 Componente importante di questa cautela è la consapevolezza degli autori: ogni volta che "pubblichiamo" un testo senza renderlo effettivamente pubblico, perché abbiamo scelto di affidarlo a un privato che si fa forte della sua posizione dominante, firmiamo un'ipoteca sull'uso pubblico della ragione, o, meglio, su una sua parte forse di per sé infinitesimale, ma significativa entro aggregazioni e tendenze più ampie. Quello che sappiamo, quello che diciamo, come e dove scegliamo di dirlo, per quanto possa apparire minimo, è importante, perché gli esseri umani non sono solo lettori, ma anche "scrilettori" della loro storia: 35 chi non crede di poter progredire non progredirà, chi non gioca per paura di perdere non potrà mai vincere.

Oltre il giardino: un argomento kantiano per la responsabilità degli autori


Nel 1797 Kant sostenne, polemizzando con Benjamin Constant, una tesi tuttora scandalosa agli occhi di qualche lettore: se un assassino, alla caccia di un nostro amico nascostosi da noi per sfuggirgli, ci chiede informazioni su di lui, la legge morale proibisce di mentire per salvarlo. Noi abbiamo un dovere assoluto alla verità, che qui deve essere intesa soggettivamente come veridicità o sincerità, in quanto la verità in senso oggettivo - l'essere vero di una nozione - esula dal diritto perché non dipende dalle nostre decisioni. 36 Il controverso saggio kantiano sul diritto di mentire, interrogandosi sulla comunicazione di quello che sappiamo, si occupa di un problema di ecologia dell'informazione. Ma se ne occupa, come osservava Simmel, a partire da un esempio racchiuso entro un orizzonte privato, ristretto, piccolo-borghese. 37

Secondo Christine Korsgaard, 38 il caso esemplare considerato da Kant è, nei fatti, improbabile: nessun assassino seriamente intenzionato verrebbe a trovarci dichiarandosi tale. Esistono però situazioni in cui una simile intenzione può essere resa pubblica senza recar detrimento al progetto omicida: sono i casi in cui essa non nasce da un intento privato, ma da una linea di condotta politicamente riconosciuta, come nelle persecuzioni religiose o razziali promosse da uno stato o da qualche altra potenza proponderante, e anche socialmente apprezzata, come nel caso del delitto d'onore. 39 Anche se l'esempio di cui si discute sembra privato, la materia del contendere è essenzialmente giuridica e politica: il problema del diritto di mentire si presenta al cancello del nostro giardino solo quando lo spazio dell'uso pubblico della ragione è violentemente dominato da un discorso irresistibile. Ma quali sono le condizioni e i comportamenti che ci riducono - venuta meno la libertà della sfera pubblica - entro l'orizzonte piccolo-borghese della menzogna per difendere gli amici?

Il cuore dell'argomento di Kant, espurgato dei tecnicismi giusnaturalistici, 40 è questo: il potere - politico e sociale - può essere controllabile solo se è strutturato e limitato dal diritto. Ma non si dà diritto senza pubblicità: se leggi e regolamenti fossero segreti, non ci sarebbe nessuna differenza apprezzabile fra gli atti dello stato e le decisioni prese da una loggia a vantaggio esclusivo dei propri membri; se i tribunali fossero dei segreti consigli notturni, non ci sarebbe differenza fra l'esecuzione di una pena detentiva e un sequestro di persona. Una pubblicità ad accesso riservato è una contraddizione in termini: «La verità non è un possesso sul quale all'uno possa essere accordato il diritto e all'altro rifiutato». 41

Chi mente, per Kant, avvelena la fonte stessa del diritto. 42 L'ordinamento giuridico si fonda su un contratto ideale, nel quali le parti delegano a un giudice terzo il potere di dirimere le controversie. Se questo contratto fosse stipulato con delle riserve mentali, se la parola dei contraenti non fosse attendibile, non sarebbe possibile costruire una società civile: chi rinuncia a farsi giustizia da sé per rivolgersi a un giudice compie un gesto di fiducia che sarebbe impensabile se fosse in vigore il diritto di mentire. Di più: nel momento in cui accordo a me stesso il diritto di mentire per il bene di qualcuno, devo coerentemente riconoscerlo anche agli altri, esponendo tutti alla mistificazione: la politica non può rinunciare alla trasparenza, se vuole rimanere entro i limiti della giustizia. È facile, per chi è al potere, trovare qualcuno per il cui bene valga la pena mentire.

Quando giustifichiamo la menzogna in favore degli amici, scegliamo di limitare la nostra responsabilità ai confini del nostro giardino. Kant ha scelto un esempio piccolo-borghese, privato, perché la tentazione di mentire si presenta più forte nelle situazioni in cui siamo così personalmente coinvolti da dimenticare la nostra responsabilità del mondo. Per il ricercatore, una simile condizione è in verità familiare: ogni volta che "pubblichiamo" il nostro lavoro ad accesso chiuso, in nome dell'interesse immediato per la nostra carriera, contribuiamo alla nostra proletarizzazione e all'impoverimento dello spazio pubblico della discussione e della scienza. Ci prestiamo a una veridicità ad accesso riservato, cioè a una menzogna. 43

È vero che, quando gli assassini alla porta possono impunemente dichiararsi, siamo già in una condizione nella quale è venuta meno ogni speranza di diritto pubblico. Oltre il giardino c'è uno spazio dominato esclusivamente dalla forza 44 nel quale nessuno più è in grado di costruire relazioni di fiducia. Ma, prima di chiudere il cancello, dobbiamo ancora domandarci come è stato possibile arrivare a questo punto, se, cioè, ne siamo o no corresponsabili perché abbiamo taciuto quando avremmo potuto parlare, o, meglio, abbiamo preferito sussurrare nelle nostre conventicole quando avremmo avuto i mezzi per gridare sui tetti. Il modo in cui distribuiamo il nostro sapere non è innocente: ogni volta che preferiamo l'accesso chiuso, regalando il nostro discorso a padroni diversi da noi stessi e dal pubblico, contribuiamo a rendere più asfittico l'ecosistema informativo. Ad avvicinarlo d'un passo a quelle situazioni in cui il dominio di un verbo monopolistico è talmente forte da ridurci a curarci soltanto di noi stessi e dei nostri amici, degradandoci da piccoli borghesi, a proletari, a plebe. 45

Nota generale alla traduzione

Questa traduzione si basa sui testi kantiani digitalizzati in Das Bonner Kant-Korpus, ora a disposizione del pubblico presso https://korpora.org/Kant. Il corpus kantiano di Bonn contiene anche i volumi 1-23 dell'Akademie-Ausgabe, i cui riferimenti sono stati aggiunti fra parentesi quadre nel testo italiano. Si è scelto di lavorare soltanto con il materiale liberamente e legalmente accessibile in rete, perché l'intento di questo lavoro non è aggiungere un'altra versione degli scritti politici kantiani alle numerose già commercializzate sul mercato italiano, bensì aprire la traduzione di un classico all'uso pubblico della ragione così come lo permette la rete, se assistita dalla consapevolezza degli autori.

In questo spirito si è cercato per quanto possibile di far uso, anche nella letteratura secondaria, di fonti ad accesso aperto. Gli URL si intendono visitati nell'aprile 2011.

Il testo nel suo complesso è soggetto a una licenza Creative Commons by-nc-nd; le singole traduzioni dei saggi kantiani sono invece sottoposte a una licenza Creative Commons by-sa.

Le traduttrici hanno consultato la copia, con numerose osservazioni ed emendamenti annotati a mano, della versione di Filippo Gonnelli edita da Laterza che Giuliano Marini metteva a disposizione degli studenti dei suoi corsi presso la facoltà di Scienze politiche pisana. La loro traduzione ha anche lo scopo di non far andare interamente perso il suo lavoro rimasto incompiuto.

Questo libro è dedicato alla memoria di Giuliano Marini.



[1] Traduzione mia da P. Aigrain, Cause commune: l’information entre bien commun et propriété, Paris, Fayard, 2005, pp. 215-216 https://paigrain.debatpublic.net/?page_id=160/.

[2] Si veda per esempio l'articolo «Protecting creativity. Copyright and wrong. Why the rules on copyright need to return to their roots» (The Economist, April 8th 2010, https://www.economist.com/node/15868004?story_id=15868004 ), che propone di ridurre i termini di un copyright ormai sbilanciato in favore degli interessi delle aziende e sproporzionato nella sua durata ai termini stabiliti dallo Statute of Anne (14 anni raddoppiabili solo su richiesta esplicita dall'autore).

[3] T.W. Bell, Intellectual Privilege: A Libertarian View of Copyright, 2010 https://www.intellectualprivilege.com/book.html.

[4] Il software libero è protetto da un copyright "virale", cioè modulato in modo tale da conservare la libertà del programma in tutti i suoi passaggi di mano e in tutte le sue trasformazioni.

[5] L. Lessig, Free Culture, New York, Random House, 2001. Per una discussione più ampia rinvio al mio Lawrence Lessig e la libertà del software, in M.C. Pievatolo, I padroni del discorso, Pisa, Plus, 2003, https://bfp.sp.unipi.it/ebooks/mcpla.html.

[6] M. Boldrin e D.K. Levine, Against Intellectual Monopoly, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, https://www.dklevine.com/general/intellectual/againstfinal.htm.

[7] «La proprietà intellettuale non ha a che vedere col tuo diritto di controllare la tua copia della tua idea [...]. Quello con cui la proprietà intellettuale ha veramente a che fare è il mio diritto di controllare la tua copia della mia idea », M. Boldrin e D.K. Levine, op. cit., p. 175, traduzione e corsivo mio.

[8] Per una breve introduzione al concetto si veda il mio «Il professore dà alle stampe: la pubblicazione ad accesso aperto», Inchiesta. Trimestrale di ricerca e pratica sociale, a. XXXV, n.150, ottobre-dicembre 2005, https://www.unitus.it/biblioteche/webif/06-docs/download/openaccess/professore.pdf.

[9] Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, https://oa.mpg.de/lang/en-uk/berlin-prozess/berliner-erklarung; Documento italiano a sostegno della Dichiarazione di Berlino, 2004, https://eprints-phd.biblio.unitn.it/help/MessinaIT.pdf.

[10] F. Di Donato, La scienza e la rete, Firenze, FIrenze University Press, 2009 https://www.fupress.com/scheda.asp?IDV=1953.

[11] L'European Research Council correttamente impone che le pubblicazioni derivanti da progetti di ricerca finanziati dall'ente siano rese ad accesso aperto entro sei mesi dall'uscita (ERC Scientific Council Guidelines for Open Access , 2007 (https://erc.europa.eu/pdf/ScC_Guidelines_Open_Access_revised_Dec07_FINAL.pdf). Per gli USA si veda SPARC, Federal Research Public Access Act, https://www.arl.org/sparc/advocacy/frpaa/index.shtml.

[12] M. Weber, Wissenschaft als Beruf, 1922 , https://www.textlog.de/2320.html trad. di A. Giolitti, Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1997, p. 18.

[13] Gorgia, 458a-b, traduzione, con alcune modifiche, di F. Adorno (Platone, Gorgia, Roma-Bari, Laterza, 2007.

[14] La convinzione che uno scritto abbia valore solo se è pubblicato da certi editori e da certe riviste, ha paradossalmente condotto, nel settore delle riviste scientifiche, a una crisi dei prezzi dovuta agli oligopoli da essa determinati, proprio quando la digitalizzazione stava rendendo la pubblicazione facile ed economica: J-C. Guédon, Per la pubblicità del sapere, Pisa, Plus, 2004, https://bfp.sp.unipi.it/ebooks/preguedon.html.

[16] Contro il luogo comune che le opere dell'ingegno abbiano bisogno di un monopolio concesso dallo stato per essere remunerative, si veda D. Baker («The reform of intellectual property», Post-Autistic Economic Review, 5 (32), 2005 https://www.paecon.net/PAEReview/development/Baker32.htm) il quale suggerisce di sostituire il copyright con forme di mecenatismo diffuso, rendendo per esempio fiscalmente deducibili i contributi alle arti e alle scienze, oppure adottando un sistema di finanziamento pubblico diretto e di voucher individuali.

[17] S. Glazer, «Lost in Translation», New York Times, August 22, 2004, https://www.sartre.org/Existentialism/TheLegacyofSimonedeBeauvoir.htm#10.

[18] M.A. Simons, «The Silencing of Simone De Beauvoir. Guess What’s Missing From 'The Second Sex'», Women’s Studies Int. Forum , 6/5, 1983, pp, 559-563 https://www.laurenelkin.com/files/simons1983beauvoir.pdf; T Moi, «While We Wait: The English Translation of The Second Sex», Signs, 27/4, Summer 2002, pp. 1005-1035 https://www.laurenelkin.com/files/moi2001beauvoir.pdf: Toril Moi mostra, fra l'altro, che la traduzione Parshley ha indotto a gravi fraintendimenti anche autrici note come Judith Butler (p. 1023) o Drucilla Cornell (pp. 1024-1027).

[19] S. Glazer, «A Second Sex», Bookforum, Apr/May 2007, https://www.bookforum.com/inprint/014_01/113.

[20] La recensione di Moi e la conseguente discussione sono visibili sul sito della London Review of Books: T. Moi, «The Adulteress Wife», 32/3, 2010 https://www.lrb.co.uk/v32/n03/toril-moi/the-adulteress-wife.

[21] A.O. Miller, «Court Halted Dime Edition of 'Mein Kampf'. Cranston Tells How Hitler Sued Him and Won», Los Angeles Times, February 14, 1988 https://articles.latimes.com/1988-02-14/news/mn-42699_1_mein-kampf. V. anche J. Boyle, The Public Domain, New Haven-London, Yale University Press, 2008, p. 95 https://www.thepublicdomain.org/download/.

[22] J. Boyle, op. cit., p. 8.

[23] I. Kant, Idea per una storia universale in un intento cosmopolitico, 029 nota.

[24] M. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, Milano, Mondadori, 1992, p. 113.

[26] I. Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?, 037.

[27] La scontata critica per la quale Kant, collocando la storia in Europa e in Europa soltanto, avrebbe assunto come universale la prospettiva degli uomini istruiti dell'Europa illuminista (v. per esempio R. Boyd, «The Progress of Progress», https://cssaame.com/jhs/post_2.html) è fuorviante: Tucidide, non diversamente da Sima Qian, riporta eventi particolari dal suo proprio punto di vista. Il loro essere universali dipende dalla continuità di un pubblico colto, che per gli europei può cominciare con Tucidide per estendersi fino a Sima Qian, e per i cinesi può partire da Sima Qian per raggiungere Tucidide. L'importante è che alla fine questo pubblico divenga effettivamente uno.

[28] I. Kant, Sul detto comune: «questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica» 304.

[29] Per una trattazione estesa si rinvia alla mia annotazione al saggio stesso.

[30] Di conseguenza, chi copia o permette di copiare un testo per un uso meramente personale non compie nessuna violazione. Prima dell'età della rete, questa conseguenza riguardava solo le fotocopie tipicamente prodotte da studenti e studiosi per il loro lavoro individuale. Oggi, però, questo caso è assai meno marginale di quanto si pensi perché la rete funziona letteralmente come una gigantesca fotocopiatrice: un documento abbandonato su un server viene letto solo se qualcuno, con il suo browser, lo copia sul suo computer, per il suo uso personale. La similitudine della fotocopiatrice è stata proposta da Kevin Kelly in un articolo dedicato all'esplorazione di modelli economici alternativi allo sfruttamento delle rendite da monopolio entro un ambiente tecnologico che tende a neutralizzare il privilegio intellettuale («Better Than Free», Edge, 2008, https://www.edge.org/3rd_culture/kelly08/kelly08_index.html).

[31] I. Kant, L'illegittimità della ristampa dei libri, 086.

[32] Il paragone è di Dag Elgesem («Search engines and the public use of reason», Ethics and Information Technology, 10/4, 2008 https://www.springerlink.com/content/v3505876727m01v2/).

[33] M. De Rossi, Una questione di democrazia, 2010, https://www.shannon.it/blog/una-questione-di-democrazia/.

[34] Tim Berners-Lee («Long Live the Web: A Call for Continued Open Standards and Neutrality», Scientific American, 2010, https://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=long-live-the-web) ricorda che il web era stato progettato come uno spazio informativo aperto, universale, decentralizzato e interconnesso. Questa struttura è però messa a repentaglio sia per gli interventi censori dei governi, sia per la diffusione di reti sociali centralizzate e private e di siti - come Itunes - il cui accesso richiede programmi e protocolli proprietari. Siamo esposti al rischio di restar confinati in isole connesse solo internamente, invece di navigare liberi nel mare della conoscenza.

[35] Si veda il secondo paragrafo della seconda parte del Conflitto delle facoltà.

[36] I. Kant, Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani, 426.

[37] G. Simmel. Sechzehn Vorlesungen gehalten an der Berliner Universität, München, Duncker & Humblot, 1913, p. 117, https://www.archive.org/details/kantsechzehnvorl00simm.

[38] C. Korsgaard, «The right to lie: Kant on dealing with evil». Philosophy and Public Affairs, 15/4, 1986, p. 5, https://dash.harvard.edu/handle/1/3200670.

[39] Nella Pace perpetua (384-385) proprio l'ipotesi della presenza di un potere preponderante rende insufficiente a prima formula trascendentale del diritto pubblico come criterio esclusivo di giustizia.

[40] Per una interpretazione più analitica si rinvia alla mia annotazione al Diritto di mentire.

[41] I. Kant, Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani, 428.

[42] I. Kant, Su un presunto diritto di mentire per amore degli esseri umani, 426.

[43] Platone, nella Repubblica (415a-c) fa raccontare a Socrate un mito, il racconto fenicio, che è esplicitamente trattato come una nobile menzogna. I contenuti del mito sono in realtà conformi alla teoria della legittimazione politica esposta nella Repubblica; il racconto, però, è una bugia perché le sue premesse filosofiche vengono tenute nascoste ai destinatari della narrazione, che lo ricevono come un mero oggetto di fede. Ma questo è esattamente quanto avviene con una scienza ad accesso chiuso, che offre al pubblico soltanto materiale divulgativo od obsoleto, tenendo nascosta la discussione razionale.

[44] Siamo dunque in una condizione che Kant, con le categorie dell'Antropologia pragmatica (330-331) avrebbe chiamato di barbarie, nella quale, non essendoci diritto, la resistenza è lecita.

[45] J. C. Burgelman, D. Osimo, M. Bogdanowicz («Science 2.0 (change will happen...)», First Monday, July 2010, https://www.uic.edu/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/view/2961/2573) prevedono che una scienza ad accesso aperto avrà come effetto collaterale una competizione esasperata per l'unica risorsa scarsa, l'attenzione umana, con una importanza crescente della reputazione e la sua concentrazione nelle mani di pochi, secondo una legge di potenza. Una simile prospettiva potrebbe anche essere un motivo per rinunciare alla pubblicità e alla trasparenza della rete, ma solo se si dimostrasse che il sistema tradizionale è immune da questi effetti (si veda il mio «Sul detto comune: il sapere è pubblico in teoria, ma privato nella pratica», Cosmopolis, II,2, 2007 https://www.cosmopolisonline.it/20071201/pievatolo.php).


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