Tetradrakmaton

Il processo a Socrate

Bollettino telematico di filosofia politica
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Le fonti socratiche

Socrate non ha lasciato nulla di scritto. Platone, nel Fedro, gli attribuisce delle parole che potrebbero spiegare la sua scelta:

La scrittura, davvero come la pittura, ha qualcosa di terribile (deinon): infatti la sua progenie ci sta davanti come se fosse viva, ma, se le si chiede qualcosa, rimane in un maestoso silenzio. Allo stesso modo fanno i discorsi (logoi): si crederebbe che parlassero, come se pensassero qualcosa, ma se per desiderio di imparare si chiede loro qualcosa di quello che dicono, comunicano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta messo per iscritto, ogni discorso circola per le mani di tutti, tanto di chi l'intende quanto di chi non c'entra nulla, né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato e offeso ingiustamente, ha sempre bisogno dell'aiuto del padre perché non è capace né di difendersi né di aiutarsi da sé. (275d-e)

Il logos - discorso o ragionamento - messo per iscritto è semanticamente chiuso, cioè limitato a un numero finito di nozioni e non può essere interattivo. Esso, da solo, non può produrre sapere - se per sapere intendiamo non semplicemente il possesso di una nozione, ma la capacitù di fondarla razionalmente e di difenderla in un contraddittorio.

Socrate, dunque, scelse di parlare soltanto. Questo lo condannò a essere conosciuto nella storia solo tramite quanto altri hanno scritto di lui. Abbiamo, così, cinque Socrati virtuali:

Ciascuno di questi Socrati virtuali è differente dagli altri. Nei dialoghi giovanili di Platone incontriamo un filosofo morale, che non si occupa di filosofia della natura e polemizza con i sofisti; nella commedia di Aristofane un sofista e naturalista adoratore delle nuvole, che insegna ragionamenti capziosi per sottrarsi alle leggi della città; nei resoconti di Senofonte, di contro, Socrate è un moralista alquanto tradizionale.

Queste differenze possono essere viste come la conseguenza del rifiuto socratico di scrivere, che l'hanno abbandonato alla memoria - e alla libertà creativa - degli altri, soprattutto in un mondo come quello antico, ove la cultura era felicemente priva del senso della proprietà intellettuale. Ma possono anche essere viste, se ci valiamo della figura dell'ironia complessa, come un successo di Socrate: Socrate non è riuscito a tramandare un'immagine coerente di se stesso; questo, però è una testimonianza dell'efficacia del suo insegnamento, che mirava non a "trasferire" conoscenza, ma ad indurre - accettando il rischio di venir frainteso - gli altri a pensare per proprio conto.

Il Socrate dei primi dialoghi di Platone si caratterizza per questi aspetti:

I dialoghi socratici di Platone non sono una sua invenzione personale. Il rifiuto socratico di scrivere produsse infatti il genere letterario dei sokratikoi logoi (discorsi socratici), scritti da autori come Eschine di Sfetto, Antistene, Aristippo, Brisone, Cebete, Critone, Euclide di Megara, Fedone, dei quali ci è pervenuto solo qualche frammento. Le fonti filosofiche su cui possiamo contare rimangono, dunque, gli scritti di Platone e di Aristotele.

Glossario

Ironia

Il retore romano Quintiliano (I secolo d. C.) definisce l'ironia come una figura del linguaggio o tropo in cui contrarium ei quod dicitur intelligendum est (Institutio oratoria, 9, 2, 44), cioè nella quale si deve intendere il contrario di ciò che letteralmente si dice.

Questo senso della parola "ironia" è arrivato fino a noi, sia nel caso in cui questa figura è usata per prendere urbanamente in giro gli interlocutori, sia quando è usata per denunciare velatamente l'incommensurabilità del singolo alla realtà, cioè la sua difficoltà ad adeguarsi e a ritrovarsi in un mondo che gli è estraneo. Questo è il caso dell'ironia romantica, come descritta, per esempio, dal filosofo danese Kierkegaard (XIX secolo).

Nel greco del V secolo, il significato primario di "ironia" non era quello riportato da Quintiliano ma quello che ritroviamo in bocca a Trasimaco nel I libro della Repubblica, e cioè "dissimulazione" o "finzione" finalizzata ad ingannare. Il "fare finta" per gioco o per scherzo, tipico di Socrate, era solo un significato secondario. Oggi noi intendiamo "ironia" al modo di Quintiliano e non a quello di Trasimaco solo in virtù del rovesciamento dovuto alla durevole impressione che il comportamento di Socrate produsse sui contemporanei.

Gregory Vlastos, che si interroga sulla figura di Socrate nel suo libro Socrates. Ironist and Moral Philosopher, Cambridge, Cambridge U.P., 1991 (trad. it di A. Blasina, Socrate, il filosofo dell'ironia complessa, Scandicci, La Nuova Italia, 1998) pensa che la sua ironia non possa ridursi a ironia semplice. Socrate si dice ignorante: infatti non espone né scrive mai una propria filosofia. Ma, nello stesso tempo, è persona capace di affrontare la morte in nome della conoscenza.

Se si riducesse l'ironia socratica ad ironia semplice, dovremmo dire che Socrate fa finta di essere ignorante ma in realtà è sapiente. Ma questa affermazione ci farebbe perdere un aspetto importante della figura speculativa di Socrate, vale a dire il suo uso dell'elenchos (confutazione), che comporta che ogni discussione cominci con premesse esplicitamente poste, e non con l'affermazione di una verità data per indiscutibile e nota.

Per questo Vlastos introduce la figura dell'ironia complessa: a differenza dell'ironia semplice, ove il senso letterale di ciò che si dice è falso, nell'ironia complessa il contenuto superficiale è vero in un senso e falso in un altro. Socrate è ignorante in senso letterale, ma è sapiente in un altro e più profondo senso, e cioè perché le sue confutazioni, e soprattutto il modo in cui le compie, servono a dare avvio a un cammino verso la conoscenza che ognuno deve compiere da sé.

Analogamente, nella captatio benevolentiae con cui Socrate inizia la sua autodifesa, egli sostiene di non saper parlare in pubblico: questo è vero dal punto di vista dell'oratoria forense - Socrate perde la causa - ma è falso se si considera l'Apologia come portatrice di un messaggio diverso e ulteriore rispetto a quello processuale.


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