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Il processo a Socrate

Bollettino telematico di filosofia politica
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Il processo a Socrate

Maria Chiara Pievatolo

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04-10-2010


Sommario

La demokratia ad Atene
Una cittadinanza militante
La libertà degli antichi
Il logos epitaphios di Pericle
Il processo a Socrate
Le fonti socratiche
L'autodifesa di Socrate
Socrate e Aristofane
Socrate e l'oracolo di Delfi
Politici, poeti e artigiani
La vocazione di Socrate
Reati d'opinione e diritto penale
Politica e cultura
La rivoluzione della coscienza
A. La costituzione di Atene
B. Le Nuvole di Aristofane

La demokratia ad Atene

Una cittadinanza militante

Il processo a Socrate fu un processo politico. Ma questa circostanza, nell'antica Atene, non destava nessuno scandalo. La sua democrazia diretta si fondava sul principio della pari competenza politica di tutti i cittadini in quanto tali, tanto che buona parte delle cariche - comprese quelle giudiziarie - finirono per essere assegnate per sorteggio. La divisione dei poteri, in un simile regime, aveva significato solo da un punto di vista funzionale: ogni istituzione della città era concepita, infatti, come espressione politica diretta del popolo sovrano.

Il cittadino antico intendeva se stesso come un militante, partecipe di una comunità totale. Per lo storico Moses Finley 1 la democrazia degli antichi si distingue essenzialmente da quella dei moderni per il suo carattere partecipativo :

Apatia e ignoranza politica sono oggi un dato fondamentale, al di là di ogni possibile discussione; le decisioni non sono il frutto del voto popolare, che al massimo ha un occasionale potere di veto a fatto compiuto, ma sono prese dai leader politici. Il punto è stabilire se nella situazione odierna questo stato di cose è necessario e auspicabile, o se le forme nuove di partecipazione popolare, ateniesi nello spirito se non nella sostanza - se così mi posso esprimere - devono invece essere inventate (uso questo verbo nel medesimo senso in cui lo usai in precedenza dicendo che gli ateniesi inventarono la democrazia).

Secondo Finley, la democrazia ateniese era assembleare, ma non giuridicamente informe. Esisteva, per esempio, un meccanismo di "controllo di costituzionalità" a democrazia diretta. Tutti i cittadini godevano dell'isegoria, cioè del diritto di fare proposte in assemblea. Ma l'istituto della graphe paranomon prevedeva che il proponente fosse punito e la legge approvata abrogata, qualora un'ampia giuria popolare selezionata mediante sorteggio, stabilisse che era "contro le leggi". In questo modo si disciplinava l'isegoria e si permetteva al demos di tornare sulle sue decisioni. Si faceva, cioè, esattamente il contrario di quanto avviene oggi, ove i rappresentanti eletti sono protetti dall'immunità parlamentare e le corti costituzionali sono organi tecnici. Ma proprio questo - dice Finley - ci deve stimolare a confrontarci con l'esperienza antica.

Secondo Christian Meyer e Paul Veyne 2 l'esperienza politica della democrazia antica è radicalmente aliena rispetto alla democrazia dei moderni, per i seguenti motivi:

  • la vita privata degli antichi era considerata poco importante perché tutti condividevano l'etica aristocratica, che attribuiva valore alla libertà del tempo e a ciò che si fa gratuitamente e disinteressatamente;

  • il diritto a partecipare alla vita pubblica era inteso - perfino nelle democrazie radicali - come un privilegio: l'isonomia o uguaglianza non era un diritto universale, bensì lo strumento - tutt'altro che scontato - per permettere a gruppi forti numericamente, ma privi di "notabili", di avere voce in capitolo in politica;

  • il cittadino intendeva se stesso come un militante, cioè come un attivista che dedica la sua vita alla realizzazione di un progetto politico, cui si sente legato socialmente, culturalmente, eticamente, religiosamente.

Se questo è vero, la libertà dei moderni differisce dalla libertà degli antichi per la circostanza che gli interessi "militanti" dei più si sono rivolti altrove, alla sfera una volta privata del commercio, lasciando la politica nelle mani di una ristretta categoria di professionisti. Non si può confrontarsi con gli antichi senza affrontare il problema del senso etico ed esistenziale della "militanza" e degli ambiti nei quali si preferisce esercitarla.

La libertà degli antichi

La distinzione fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni è stata divulgata dallo scrittore liberale francese Benjamin Constant, che la espose in una celebre conferenza parigina del 1819, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. Le tesi principali di questa conferenza, che ha luogo in epoca di Restaurazione, sono le seguenti:

  • la libertà degli antichi è autonomia politica collettiva; quella dei moderni libertà privata individuale;

  • l'errore fondamentale della Rivoluzione francese fu la pretesa di realizzare la libertà degli antichi in una situazione ove era attuabile solo quella dei moderni.

Secondo Constant, una delle differenze più importanti fra la politica antica e la politica moderna, è il carattere rappresentativo dei nostri governi, che era del tutto assente nelle poleis greche, democratiche o aristocratiche che fossero, e negli altri regimi dell'antichità. Essendo il potere politico gestito senza mediazioni, la libertà degli antichi consisteva nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità. Questa libertà collettiva era compatibile con l'asservimento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme, che si manifestava con istituti come l'ostracismo ateniese e il controllo censorio della vita privata spartana per opera degli efori. Gli antichi erano «macchine di cui la legge regolava le molle e faceva scattare i congegni».

Di contro, oggi - dice Constant - per libertà s'intende il diritto di essere sottoposto soltanto alla legge, di non essere arrestato, né tenuto in carcere, né condannato a morte, né maltrattato per la volontà arbitraria di uno o più individui, il diritto di esprimere la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo, di disporre ed abusare della propria proprietà, di associarsi con chi preferisce, di esercitare la propria influenza sull'amministrazione del governo. In breve, la nostra libertà è il «pacifico godimento dell'indipendenza privata».

Solo ad Atene, secondo Constant, ci sono tracce di questa libertà privata: Atene, infatti, era una città di commercianti. E interesse del commercio è la libertà dall'interferenza del potere pubblico, che ostacola i traffici con pastoie autoritarie, in nome di fini diversi dal guadagno e dalla soddisfazione dei desideri individuali. Lo scrittore francese arriva a dire, identificando evidentemente la libertà delle donne con la loro libera accessibilità sessuale, che gli Ateniesi erano tolleranti con le loro mogli in materia di adulterio - quando, a voler credere ad Aristotele, una simile tolleranza aveva luogo nell'aristocratica Sparta e non certo nella democratica Atene, ove la dipendenza delle donne era totale e l'adulterio severamente punito. Non necessariamente la libertà della sfera privata comporta anche la libertà di coloro che in questa sfera vivono, soprattutto se si tratta di donne e di bambini.

Secondo Constant, l'autodeterminazione politica continua ad avere un grande valore, perché è un mezzo essenziale per conoscere e migliorare noi stessi tramite la discussione pubblica; ma la libertà degli antichi non è più praticabile per quattro motivi fondamentali:

  1. Maggiore è l'estensione dello stato, minore l'importanza politica del singolo cittadino, tanto da rendere poco proponibile il sacrificio della libertà privata alla partecipazione politica.

  2. L'abolizione della schiavitù ha eliminato il tempo libero da dedicare alla politica: oggi tutti devono lavorare.

  3. Il commercio, che pervade capillarmente la vita delle nazioni, non lascia, come la guerra, intervalli d'inattività: gli individui preferiscono dedicarsi alle speculazioni (economiche) piuttosto che alla discussione politica.

  4. Il commercio ispira un amore intenso per la libertà individuale di soddisfare i propri desideri, che mal si concilia colla sophrosyne richiesta al cittadino antico.

Molto probabilmente, più di un Greco antico avrebbe visto questa libertà, nel suo tipo ideale, come una libertà degli idioti [idios= privato, scemo]. Le cose che hanno veramente un valore sono quelle compiute gratuitamente e liberamente: solo i poveri e gli schiavi sono legati dalla necessità al lavoro. E solo un idiota può vivere in questo modo per propria volontà, cioè senza esserne costretto.

Il logos epitaphios di Pericle

L'antichità ci ha lasciato molte testimonianze antidemocratiche. Non ci ha lasciato, però, una vera e proprio teoria democratica. La democrazia fu inventata infatti per caso, a partire dagli sviluppi della riforma di Clistene, e continuò a sopravvivere altrettanto casualmente, dopo l'avvento degli imperi, come pratica amministrativa locale. Per questo rimane anche molto difficile definirla, se non come potere pubblico (res publica) in contrapposizione al governo privato rappresentato dalla tirannide. 3

Che cosa si debba intendere per demokratia 4 viene chiarito dalla testimonianza dallo storico Tucidide, nell'orazione sopra i caduti, pronunciata da Pericle all'inizio della guerra del Peloponneso, nell'inverno 431-430. Tucidide è incline, più che a ideali democratici, a una forma di realismo politico: è dunque verosimile che quanto egli mette in bocca a Pericle sia il vero pensiero di quest'ultimo. L'epitafio, se è così, può essere letto come l'abbozzo di una teoria della democrazia.

Pericle, da abile oratore, propone una concezione prescrittiva della democrazia facendola passare per una descrizione di quello che "noi" siamo, in modo da trasmettere dei valori senza assumere un atteggiamento pedagogico. Il suo elogio comincia dagli antenati:

Infatti, abitando sempre i medesimi la regione nella successione di coloro che sono sopravvenuti nel corso del tempo, fino ad ora la trasmisero libera per il loro valore (arete). E quelli sono degni di lode, ma ancora più i nostri padri, perché, avendo acquistato, oltre a ciò che avevano ricevuto, quell'impero (arché) lo lasciarono, accresciuto, non senza fatica, a noi di ora. Ma la maggior parte di questa arché l'accrescemmo noi che siamo ora nell'età assestata e la città l'abbiamo resa, per tutti gli aspetti, il più possibile autosufficiente (autarkestaten) per la pace e per la guerra. [II.36.1-3]

Una polis è fatta da una continuità generazionale e territoriale che perdura fino al presente. Sebbene la città possa conquistare un grande potere, la sua struttura, il suo ideale di autarchia - autogoverno e autosufficienza - la tiene lontana da mire imperialistiche globalizzanti. Ma a Pericle interessa qualcosa di più della mera celebrazione del passato: partendo della questione della pratica (epitedeusis) che ha reso possibile tali imprese, vuole esporre la politeia - la costituzione in senso materiale e formale - e i modi di vivere che stanno alla sua base. (II.36.4) Notevole in questo discorso è la circostanza che Pericle, in maniera innovativa rispetto alla cultura cui appartiene, non si limita a fare un bilancio del passato, ma vede i principi democratici come un progetto aperto al futuro - qualcosa che si può celebrare, dunque, prima che sia concluso e nella speranza che non si concluda.

Ci valiamo di una politeia che non imita le leggi (nomoi) dei vicini, ma siamo noi modello (paradeigma) ad alcuni, più di quanto imitiamo gli altri. E poiché non si regge a pochi, ma a maggioranza, quanto a nome si chiama democrazia; di fronte alle leggi, però, tutti hanno parte uguale, in ordine alle divergenze private; e, secondo la valutazione che si riceve (kata ten axiosin), se qualcuno in qualcosa eccelle, non viene scelto per le funzioni comuni in base alla sua parte di ricchezza più che in base alla sua arete. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango (axiomatos). (II.37.1)

La democrazia ha la dignità di un paradigma politico, i cui capisaldi sono:

  • il governo della maggioranza

  • l'uguaglianza di fronte alla legge

  • l'uguaglianza di opportunità: l'accesso alle cariche sulla base di una valutazione (axiosis) aperta e processuale e non sulla base di una valore (axioma) statico, di un rango, come è tipico delle aristocrazie

Ma in modo libero amministriamo politicamente quanto riguarda ciò che è comune (koinon), senza avere in ira il vicino, se fa qualcosa a suo piacere (kath'hedonen) e senza un reciproco sospetto sulle nostre pratiche quotidiane. (II.37.2)

La democrazia permette una armonia fra pubblico e privato, e per questo si oppone alla tirannide che monopolizza il pubblico nelle mani di uno solo e confina tutti gli altri nel privato. Il cittadino democratico, di contro, può comportarsi, privatamente, addirittura a proprio piacere, senza produrre conflittualità. Questo aspetto contraddistingue l'ottimismo democratico del discorso di Pericle rispetto alle posizioni antidemocratiche, che, dal Vecchio Oligarca autore della Costituzione degli Ateniesi fino a Platone, stigmatizzano il carattere disordinato, informe e arbitrario - assemblearistico - del governo della moltitudine. Il regime celebrato da Pericle si esponeva a questa critica perché era pur sempre una democrazia diretta, con un carattere comunitario e partecipativo e con la tendenza a decidere a maggioranze molto ampie. Questo richiedeva un consenso molto più profondo del consenso meramente istituzionale e procedurale delle democrazie moderne, e dunque una continuità fra politica e morale. Pericle, tuttavia, crede che la democrazia di Atene realizzi una struttura istituzionale stabile e per questo sia in grado di proteggere la vita pubblica dall'arbitrio, che è libero solo nei limiti della vita privata.

Trattando gli affari privati non violiamo però i principi delle istituzioni pubbliche (ta demosia) innanzi tutto per timore, ascoltando quanti di volta in volta sono al potere, ma anche dando ascolto alle leggi, soprattutto quelle che giacciono [negli archivi] in aiuto degli offesi, e anche a quante, pur non essendo scritte, portano a chi le infrange una vergogna riconosciuta. (II.37.3)

La democrazia è un fattore importante della rivoluzione mediatica del V secolo, che assiste al passaggio dall'oralità alla scrittura. Un regime basato sui principi della pubblicità e della rendicontazione ha bisogno di scrivere le leggi in modo tale che siano visibili a chi lo desidera, per assicurare trasparenza e certezza del diritto. Tucidide stesso riconosce che Pericle poteva permettersi di guidare il popolo in libertà perché era «trasparentemente incorruttibilissimo in fatto di denaro» (chrematon diaphanos adorotatos) (II.65.8). D'altra parte, la comunità politica non può fare a meno dei nomoi (leggi, convenzioni, costumi) non scritti. La democrazia antica, per il suo carattere comunitario, non può intendere se stessa come meramente procedurale, ma richiede una concordia sostanziale sui valori etici fondamentali.

Pertanto, sebbene la democrazia periclea protegga la sfera privata come sfera dell'arbitrio, essa non può sopravvivere senza la partecipazione e la pratica della discussione. La democrazia degli antichi è una scelta a un tempo procedurale, giuridica, politica, culturale e religiosa.

Siamo i soli a considerare chi non partecipa [agli affari pubblici] non già senza occupazioni (apragmon) ma inetto (achreios). (II.40.2) 5

Letture consigliata

Il progetto Demos. Una enciclopedia digitale sulla democrazia ateniese.

La democrazia degli antichi. Conferenza di Maria Chiara Pievatolo.



[1] Democracy Ancient and Modern, 1972 (trad. it. La democrazia degli antichi e dei moderni, Roma, Laterza, 1997

[2] L'identità del cittadino e la democrazia in Grecia, Bologna, il Mulino, 1989

[3] Una simile definizione, però. è molto generica perché coinvolge anche quelle che noi chiameremmo aristocrazie. Sia nel caso della democrazia, sia nel caso dell'aristocrazia la città si intendeva come governata da un potere pubblico - e non privato - che poteva essere amministrsto da un numero maggiore o minore di persone. Sparta, per esempio, intendeva se stessa come una sorta di "aristocrazia democratica". Non a caso il testo più antico in cui si parla di kratos del demos è la rhetra di Licurgo (Plutarco, Licurgo, 6: damo d'agora nikan kai kratos, ovvero "all'assemblea del popolo vittoria e potenza").

[4] Per quanto Eschilo, nelle Supplici, alluda a questa parola con perifrasi trasparenti (v. 604: demou kratousa cheir - "la mano dominante del popolo"), il testo più antico in cui viene usato il termine demokratia è il VI libro delle Storie di Erodoto. In VI.43.3 si narra che il generale persiano Mardonio, nel 492, instaurò nelle città ioniche la democrazia in luogo dei tiranni; in VI.131.1 si riferisce che Clistene fu colui che istituì le tribù territoriali e la democrazia. Nel dibattito sulle costituzioni (III.80.2) Erodoto aveva messo in bocca al pur "democratico" Otane la locuzione "governo del plethos", cioè della moltitudine come totalità o come maggioranza, per evitare di aggiungere un anacronismo al resoconto di una vicenda che egli stesso sapeva poco credibile.

[5] Se dobbiamo credere ad Aristotele (Costituzione di Atene, VIII, 5) Solone aveva fatto addirittura una legge contro il disinteresse politico: «Chi, in occasione di una guerra civile, non prenderà le armi nè con l'una parte nè con l'altra, sarà colpito da atimia e non godrà più dei diritti politici».


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