Tetradrakmaton

Il processo a Socrate

Bollettino telematico di filosofia politica
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La rivoluzione della coscienza

Come risulta chiaro da Apologia, 28b, Socrate è esposto a un processo e ad una condanna infamante, che, nella prospettiva della morale tradizionale, fondata esclusivamente sulla reputazione e sull'apparenza, avrebbe comportato un disonore totale. Ma egli non ragiona più in questi termini.

In Apologia, 28c ss, Socrate, plebeo, si paragona oltraggiosamente all'Achille omerico, mettendo vino nuovo in otri vecchi. Achille è l'eroe per eccellenza della cultura greca, che ha scelto e trovato la morte nella competizione per la timé, cioè per il riconoscimento di una areté che si identificava col successo sociale dell'aristocratico. Socrate, di contro, affronta la morte perché ritiene che componente essenziale della virtù sia una proprietà personale e interiore, la dedizione alla conoscenza: senza questa componente essenziale, ogni altro valore della vita, e ogni genere di riconoscimento sociale, è secondario. La religione tradizionale si basava su un rapporto di do ut des con le divinità; quella di Socrate - del miscredente Socrate - tratta l'esercizio della legge morale come un servizio reso, gratuitamente, a un dio il cui volere diviene prescrizione solo per mezzo dell'interpretazione che ne dà il filosofo stesso.

Socrate può permettersi di sfidare la morale pubblica e di esporsi all'infamia, perché per lui la parte più essenziale del soggetto conoscente e agente non è la sua apparenza, ma la sua anima. Quello che io sono non dipende più da ciò che gli altri dicono di me, bensì da quello che so e da quello che scelgo, consapevolmente, di fare. Diventa così, per la prima volta, possibile e giusto seguire la voce della coscienza anziché la demou fatis, cioè quello che dice la gente. La vox populi non è più vox Dei. (Apologia, 29d) Diventa, inoltre, possibile criticare le gerarchie sociali esistenti: per esempio, quando Socrate (Apologia, 41c) si rallegra perché, dopo la morte, sospesi i vincoli del mondo dei vivi, potrà dialogare con chi vuole, uomo o donna che sia, egli sta mettendo implicitamente in discussione la segregazione sociale che, ad Atene, proibiva alle donne ogni forma di vita pubblica.

Vivere amando la sapienza, ed esaminando se stessi e gli altri mette Socrate al di sopra di qualsiasi manipolazione esterna: ma in una città in cui la convivenza è assicurata dagli interessi e dalla paura del giudizio degli altri, una persona che non è manipolabile è un cittadino cattivo e pericoloso. Anche perché l'attività di Socrate non è tale che si possa esercitare un una zona privata, ma è per sua natura pubblica e dialogica. Un impegno alla conoscenza e all'esame critico che si ponga dei confini tradisce, semplicemente, se stesso. Per questo Socrate deve dichiararsi non solo colpevole, ma intenzionato a perseverare nel suo comportamento.

In questa prospettiva, si spiega anche perché Socrate, in un processo in cui la vera materia del contendere era la sua lealtà alla democrazia, rinuncia a far valere a suo favore (Apologia, 32b-d) il suo rifiuto ad obbedire all'ordine di arrestare ingiustamente il democratico Leonte di Salamina, da parte dei Trenta Tiranni. Una difesa processualmente accorta avrebbe infatti insistito su questa circostanza e avrebbe passato sotto silenzio l'episodio delle Arginuse, nel quale Socrate, come presidente di turno dei Pritani, si era opposto all'assemblea rifiutando di mettere all'ordine del giorno una questione illegittima. 11 Socrate, di contro, pone le due vicende nello stesso piano, per mostrare che, ogni qual volta la sua coscienza si è trovata in conflitto con le richieste del potere - democratico o tirannico che fosse -, egli ha preferito agire secondo coscienza, pur a rischio della vita.

La rivoluzione della coscienza, se presa sul serio e considerata in tutte le sue conseguenze, pone il problema politico in termini radicali: che tipo di comunità politica potrebbe continuare a meritare la nostra lealtà, anche se fossimo immuni alle pressioni della paura e dell'ambizione?

Bibliografia



[11] Gli strateghi vittoriosi alle isole Arginuse erano stati accusati di non essersi fermati a raccogliere i cadaveri ed i naufraghi. A loro discolpa, essi avevano addotto di aver impegnato il grosso della flotta nell'inseguimento del nemico, mentre le navi incaricate del soccorso erano state ostacolate dal maltempo. Socrate, sorteggiato come presidente di turno del consiglio dei pritani, aveva rifiutato di mettere la questione della loro condanna a morte all'ordine del giorno (Xen. Mem. 4.4.2.), nonostante le pressioni della folla. Questo passo procedurale era importante, perché solo la Boulé era investita formalmente del potere di iniziativa per la presentazione delle questioni all'assemblea generale dei cittadini.

L'azione era illegale perché gli strateghi erano accusati come gruppo, contro il carattere personale della responsabilità penale; perché non avevano avuto tempo sufficiente per preparare la loro difesa; e perché l'assemblea in quanto tale non era una corte di giustizia e non aveva il potere di infliggere condanne penali.


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