Tetradrakmaton

Il processo a Socrate

Bollettino telematico di filosofia politica
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Politica e cultura

In Apologia 31d-32a, Socrate afferma di non essersi dedicato alla vita politica nel senso istituzionale del termine, perché «non c'è nessuno che si possa salvare, se si oppone autenticamente a voi o a un'altra maggioranza, impedendo che in città avvengano molte ingiustizie e illegittimità, ed è anzi necessario che chi combatte per il giusto, se deve sopravvivere anche solo per un po', rimanga un privato e non si dedichi alla vita pubblica.» Queste frasi, prese isolatamente, potrebbero far pensare che Socrate sia un individualista, interessato solo a filosofeggiare in privato; ma il fatto, contestuale, che Socrate affronti il processo e la morte, e che colga l'occasione, con la sua autodifesa, per attaccare la tirannide della maggioranza e il diritto penale, lo dimostra portatore di una politicità alternativa, che non assorba la libertà della cultura, ma si fondi, piuttosto, su di essa.

Ciò risulta ancora più chiaro nella seconda parte dell'Apologia: la legge ateniese, in una sorta di conciliazione morale fra l'imputato riconosciuto colpevole e la città, gli offriva la possibilità di proporre una pena alternativa a quella richiesta dall'accusatore. Meleto aveva proposto la morte; a Socrate sarebbe stato sufficiente chiedere l'esilio per avere salva la vita, dal momento che la città era interessata non tanto ad ucciderlo, quanto a metterlo a tacere. Ma Socrate, pur risolvendosi infine a chiedere una multa, destinata ad essere pagata da lui solo in minima parte, adotta un'altra strategia, che impone ai giudici di condannarlo a morte e trasformarlo in un martire.

La prima richiesta di Socrate è una provocazione: il mantenimento a vita nel Pritaneo. Il Pritaneo era la sede di pritani, cioè dei presidenti di turno della Boulé; la pensione nel Pritaneo era un'onoreficenza accordata a cittadini particolarmente meritevoli (generali vittoriosi, olimpionici etc.). Il senso di questa provocazione - che è, con tutta evidenza, assai controproducente sul piano processuale - è il seguente: l'esercizio d'indagine non è una attività privata, ma qualcosa che ha un valore pubblico essenziale. Una democrazia incapace di fondarsi sulla ricerca e sul confronto delle idee - in una parola, sulla filosofia - si riduce a un rituale, per il quale non vale certo la pena rischiare la vita. L'attività di Socrate, per quanto si svolga in sedi diverse da quelle della politica istituzionale (Apologia, 30e-31b) è da lui intesa non come individuale e privata, bensì come pubblica e politica.

Socrate rifiuta di chiedere l'esilio (Apologia, 37c-38a) perché convinto che il contrasto fra la vita dedicata all'indagine e la comunità politica non sia una questione particolare, limitata al rapporto fra lui e Atene, ma un problema che si riproporrebbe in qualsiasi altra città. Nell'antichità il cosmopolitismo fu un'invenzione stoica, posteriore a Socrate; ma Socrate non avrebbe potuto essere un particolarista senza porsi in contrasto con la sua ricerca di definizioni unitarie e coerenti. L'ideale politico implicito nell'Apologia è quello di una comunità politica totale, che si fondi sui princìpi della comunità di conoscenza e si identifichi con essa: in questo senso, le città sono intercambiabili. Socrate non può mutare città senza risollevare il medesimo conflitto: l'opposizione fra una comunità politica che pretende di subordinare la conoscenza alle sue leggi, e il suo modello di comunità di conoscenza, nel quale vorrebbe risolvere anche la politica.

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